Angelica Speciale cover

Europol e la cooperazione di polizia per il contrasto alla criminalità organizzata nell’UE

Dott.ssa Angelica Speciale

Dott.ssa Speciale Angelica laureata nell’Aprile del 2023 in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Roma Unitelma Sapienza con tesi in Diritto europeo e sicurezza.

Interessata ed appassionata alle tematiche relative alla sicurezza e al diritto ha conseguito precedentemente alla Laurea magistrale in Giurisprudenza:

  • la Laurea triennale in Scienze dell’Amministrazione e Sicurezza presso l’Università degli Studi di Roma Unitelma Sapienza
  • il Master di Primo livello in Criminologia e Scienze investigative presso l’Università degli Studi di Roma Unitelma Sapienza

Durante il corso degli anni unitamente al proprio percorso di studi ha approfondito e coltivato le proprie conoscenze nell’ambito della sicurezza nazionale, comunitaria ed internazionale. Analizzando in particolar modo sia il processo evolutivo della sicurezza, che i processi di cooperazione interna ed esterna nelle attività di contrasto alla criminalità organizzata e al terrorismo nei diversi ambiti di applicazione.

A seguito del conseguimento della Laurea magistrale in Giurisprudenza sta proseguendo e migliorando la propria formazione nell’ambito giuridico.

Nel 2013 si è arruolata nell’Esercito Italiano dove attualmente ricopre il grado di Graduato Scelto nella categoria Graduati.

Europol e la cooperazione di polizia per il contrasto alla criminalità organizzata nell’UE.
Tra gli anni ottanta e novanta del Novecento dopo la stipulazione del Trattato di Roma, del Trattato di Maastricht e del Trattato di Schengen, l’Unione Europea ha dovuto affrontare la crescente diffusione del crimine all’interno del territorio europeo a seguito della liberalizzazione delle frontiere interne. L’abbattimento delle frontiere tra gli Stati membri, oltre che ad apportare dei vantaggi come la libera circolazione all’interno dell’Unione di persone, mezzi e capitali; ha favorito la cooperazione nelle attività di scambio tra gli Stati membri; ma ha apportato anche una maggiore vulnerabilità della sicurezza dell’Unione. L’UE al fine di contrastare la diffusione della criminalità, ha ritenuto necessaria una maggiore intesa tra le forze di polizia degli Stati membri rispetto al passato, impegnate nella lotta e contrasto delle varie forme di criminalità e del terrorismo. A tale scopo l’Ue ha istituito l’Ufficio di polizia europeo, l’Europol, capace di fronteggiare e contrastare le minacce e i rischi incombenti sul territorio europeo, garantendo una maggiore cooperazione improntata sia sulla sicurezza interna che esterna. Le attività di cooperazione svolte dall’Europol ricoprono diversi ambiti trattando: la prevenzione e la lotta al terrorismo, la tratta degli esseri umani, il traffico illegale di stupefacenti, le reti d’immigrazione clandestina, il traffico illecito di autoveicoli e di materiale radioattivo e nucleare, la frode organizzata,
la falsificazione di denaro e il riciclaggio di denaro derivante dalla criminalità internazionale cercando in tal modo di rendere l’Unione più sicura. Inoltre durante l’esecuzione dei propri compiti l’Europol si avvale di alcune figure come le Unità nazionali Europol e gli ufficiali di collegamento, che sono il filo conduttore tra gli Stati membri e l’Europol, permettendo loro lo scambio di dati ed informazioni, ricorrendo durante lo scambio informativo a sistemi specializzati per rendere più celeri e sicure le attività di scambio, garantendo la protezione e l’accesso dei dati tramite un maggiore controllo attraverso dei controlli interni, esterni ed incrociati. Per di più l’Europol ha dovuto tener conto dell’evoluzione delle minacce che nel tempo sono cambiate, difatti per minaccia non si considera solo quella fisica, ma anche il prodotto di sempre più ingegnosi criminali, richiedendo a sua volta maggiori misure di sicurezza, considerando quindi anche le minacce CBRN, le quali possono essere perpetrate ed innescate con l’uso di strumenti informatici creando delle gravi conseguenze per la nostra quotidianità. In merito a ciò l’Europol per contrastare gli attacchi terroristici ha istituito dei Centri specializzati come il Centro europeo di contrasto antiterrorismo, il Centro europeo per la lotta al traffico di migranti e il Centro europeo contro il cyber crime. I quali si occupano di contrastare e sanzionare sia gli autori che coloro che supportano gli attacchi terroristici, supportandoli mediante il reperimento dei materiali utili per le organizzazioni terroristiche e il riciclaggio di denaro avvalendosi del web.
Durante lo svolgimento dei propri compiti l’Europol ha stretto delle collaborazioni sia interne che esterne con degli Organismi internazionali come la Nato, le Nazioni Unite, l’Unione Africana e l’Osce avviando delle missioni volte alla pace e alla sicurezza. Le missioni avviate dall’Europol si distinguono in militari, civili ed ibride; e durante il proprio mandato i contingenti rispettano le regole d’ingaggio, il diritto all’uso della forza, il diritto penale internazionale, il diritto umanitario internazionale e il diritto del mare. Lo scopo di tali operazioni è quello di ristabilire lo stato di sicurezza e di pace mediante: la formazione di forze di polizia, il contrasto e la lotta alla criminalità, ripristinando così le situazioni di crisi, l’ordine e lo stato di diritto. Di rilevante importanza è stata l’istituzione dell’Eurojust, che ha permesso la formazione della rete giudiziaria europea e della Procura europea Eppo dando vita alla cooperazione giudiziaria in materia penale, e grazie alla formazione della rete giudiziaria sono possibili gli scambi di dati ed informazioni tra gli SM e l’Europol. Ma nonostante gli interventi apportati e la continua evoluzione dell’Europol purtroppo sono presenti ancora delle lacune. Angelica Speciale

506943_3003264_updates

Nuova ondata di violenze in Mozambico: l’orrore non si ferma in Cabo Delgado, TOTAL rinvia approvvigionamenti e trivellazioni

Marco Tamburro

Nella seconda metà del 2023, si erano ridotti di molto gli attacchi del movimento terroristico di ispirazione islamica operativo nel Nord del Mozambico; molti distretti erano considerati sicuri dopo diverse analisi di sicurezza e sembrava che la TOTAL fosse finalmente pronta a riprendere la catena di approvvigionamento logistica per portare avanti il progetto di trivellazione del giacimento di gas di Afungi.

Invece, complice anche il progressivo ritiro del contingente delle forze sudafricane (Sud Africa, Zimbabwe, Botswana) SAMIM, da dicembre 2023, circa 112.000 persone sono state nuovamente costrette a fuggire da diversi distretti a causa dei nuovi attacchi. Inizialmente, gli attacchi si erano concentrati nei distretti ‘’storicamente difficili’’ per l’armata mozambicana, ossia quei distretti del nord est che non sono mai più stati totalmente sotto il controllo delle autorità mozambicane, come Quissanga, Macomia e Mocimboa da Praia, in particolare zone rurali.

Tuttavia, con la diminuzione degli effettivi SAMIM e le truppe rwandesi limitate al controllo della zona nell’estremo nord di Palma-Afungi, le forze mozambicane si sono ritrovate nuovamente a cercare di controllare una grande area fra Montepuez e Pemba.

Sembra ormai scontato che anche il non state armed group di ispirazione islamica abbia la sua rete di informatori, che non hanno tardato ad informare il gruppo dirigente operante fra Mozambico e Tanzania, che la diminuzione dei militari SAMIM e la fragilità delle truppe mozambicane potevano essere nuovamente sfruttati. Di conseguenza, gi attacchi si sono prima concentrati nelle zone dove le forze mozambicane non erano più molto supportate dalla SAMIM, con gli islamisti che hanno occupato diverse isole delle Quirimbas, intorno all’isola di Ibo.

Successivamente, a fine febbraio, un’ondata di attacchi si è concentrata nel distretto di Chiure, coinvolgendo anche le zone frontaliere fra le province di Cabo Delgado e Nampula. Nello spazio di cinque giorni a partire dallo scorso 24 febbraio, circa 65.000 persone sono fuggite in diverse direzioni dalla zona rurale del distretto di Chiure. La cosa, ancora più preoccupante, non sono stati solo gli attacchi in rapida successione nella zona di Chiure, ma anche una sostanziale assenza della risposta militare delle forze mozambicane.

In alcune zone, gli islamisti sono addirittura arrivati a prendere il controllo delle strade principali e chiedere una tassa per il passaggio dei trasporti pubblici senza usare la violenza contro la popolazione civile.

Questa sorta di riattivazione di gruppi numerosi (si stima 20-40 per attacco) sembra confermare le analisi del passato che puntano verso questo sistema di ‘’attivazione-riattivazione’’ dei combattenti che vengono informati, riforniti e guidati da un gruppo dirigente che ha la possibilità di richiamare questi individui che, probabilmente, alla fine delle ondate di attacchi, tornerà nei distretti di provenienza e riprenderà la vita da civile.

Marco Tamburro

IMG-20240315-WA0020

Monitoriamo il Piano Mattei: cosa sta succedendo in Africa?

Marco Tamburro

Con il coinvolgimento diretto dei più alti rappresentati per l’AICS (Agenzia italiana cooperazione allo sviluppo) e la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo del MAE, il piano Mattei ha conosciuto un importante sviluppo nel progetto di implementazione.

A marzo 2024, un avanzamento significativo si è registrato con diverse missioni di esperti e manager del ‘’sistema Italia’’ per portare avanti i colloqui con il personale dell’AICS già presente in loco coinvolgendo anche diversi Ministri dei Paesi africani partners.

Sul versante dell’Africa dell’Est, sembrano chiari gli obiettivi per il piano Mattei: i Paesi prioritari saranno Kenya, Tanzania e Mozambico, con anche il coinvolgimento dell’Uganda. Un obiettivo strategico è quello di, innanzitutto, capire con i ministri dei paesi africani, quali sono le potenziali collaborazioni da introdurre e, soprattutto sul versante settore privato, quali possono essere i settori economici su cui investire. A questo proposito, sembra quindi confermato un maggior interesse del governo italiano a coinvolgere le imprese italiane negli investimenti all’estero e garantire un supporto attraverso le ONG italiane per i bisogni di emergenza o sviluppo a cui rispondere.

A fine Marzo 2024, a Dar Es Salaam in Tanzania, alla presenza di Massimo Riccardo (inviato speciale del Ministro Tajani per il Piano Mattei) e il Ministro plenipotenziario Stefano Gatti per la Direzione generale di cooperazione allo sviluppo, insieme all’Ambasciatore italiano e l’AICS Kenya-Tanzania, hanno lanciato le consultazioni per l’est Africa. Merita un approfondimento ulteriore il caso della Tanzania che sarà progressivamente integrata nelle priorità dell’Italia per il Piano Mattei, in particolare lanciando investimenti nel settore del caffè (con l’appoggio di Illy ad esempio) e il turismo (rappresentanti di Franco Rosso erano a Dar Es Salaam) per la rilevanza di Zanzibar in questo senso.

A questo punto si delineano alcuni punti chiave per il cosiddetto ‘’sistema Italia’’: i fondi che saranno annualmente disponibili per le sedi AICS che contribuiranno al budget globale ‘’Mattei’’ saranno oggetto di implementazione da parte delle ONG italiane nei settori dove i bisogni saranno più urgenti (salute, sicurezza alimentare, impiego dei giovani, genere, sviluppo rurale).

Sul versante delle imprese, il Piano Mattei sembra voler garantire ai marchi italiani un accompagnamento istituzionale forse mancato in passato, per poter avere una via preferenziale nei rapporti con gli Stati africani ma anche scongiurare che complicazioni burocratiche o barriere socioeconomiche possano in qualche modo frenare gli investimenti.  A questo punto però entra in gioco Cassa, Depositi e prestiti: saranno disponibili questi finanziamenti per le imprese private che potranno proporre dei progetti nel quadro del Piano Mattei nei paesi prioritari indicati e che porteranno dei benefici reciproci. Il ruolo di Cassa Depositi e prestiti da quindi un ulteriore spunto di analisi: se il loro ruolo è quello di garantire dei prestiti da rimborsare a seguito del successo dell’investimento, vuol dire che il totale dei fondi del Piano Mattei potrebbe potenzialmente raggiungere i 5.5 miliardi di euro annunciati, ma molto dipenderà dall’interesse che le imprese italiane manifesteranno per il progetto. Ovviamente, crediamo che il Governo italiano non si farà trovare sprovveduto, e cercherà in ogni modo di supportare e spingere innanzitutto i grandi marchi italiani (vedi Illy per il caffè nell’est dell’Africa) ad investire (ossia richiedere prestiti) nel progetto.

Due punti quindi da monitorare per il futuro: il bilanciamento tra la disponibilità dei fondi AICS e le iniziative del settore privato e soprattutto il coinvolgimento delle imprese private e l’esigenza di misruare la loro convinzione di investire nel Piano Mattei ‘’rischiando’’ dei prestiti importanti presso la Cassa.

Marco Tamburro

IMG-20240226-WA0002

Cannabis medicinale L’ottimo paretiano tra l’economia del dolore e la terapia del benessere

Presentazione

Dott. Francesco Diana

Frequenta per parte dell’itinere accademico il corso in “Marketing e Comunicazione Aziendale” presso l’Università degli studi di Bari; successivamente al trasferimento presso “Unitelma Sapienza” consegue il titolo di laurea in “Scienze dell’Economia Aziendale” discutendo una tesi in Economia Politica sul tema dell’economia del benessere e dei fallimenti di mercato. Attualmente in corso di specializzazione in “Economia e Sostenibilità” presso Unitelma Sapienza. Coltiva propedeuticamente agli studi economici l’interesse per lo studio della chimica dei materiali e delle biotecnologie, maturata ed acquisita con il titolo di tecnico tecnologico in “Biotecnologie Sanitarie”.

Cannabis Medicinale: Lottimo paretiano tra leconomia del dolore e la terapia del benessere" La disamina si presenta come un’analisi di carattere economico, ma che sottintende aspetti di carattere sociale e di Governance. La motivazione di ricerca proviene da fatti di cronaca risalenti al 2020 che evidenziarono l’incapacità da parte dell’istituzione pubblica nel sopperire ai bisogni dei cittadini, lasciando inevase le richieste di prescrizione per circa il 40% dei pazienti del SSN e comportando il conseguente fallimento nel garantire il diritto costituzionale alla salute. Dal 2007 in Italia grazie alle leggi 49/2006 e 242/2016 è concesso a medici specializzati come neurologi, oncologi e specialisti del dolore, la possibilità di prescrivere a circoscritte categorie di pazienti resistenti ai trattamenti con farmaci convenzionali, terapie palliative a base di preparati di infiorescenze femminili di cannabis. Ex ante l’emergenza pandemica a causa dell’aumento della domanda di prescrizioni, gruppi di pazienti in quasi tutto il territorio, salvo alcune eccezioni regionali, denunciavano l’impossibilità da parte delle farmacie di ottenere le forniture per i trattamenti previsti, sollevando un problema cruciale in termini di discontinuità terapeutica dei pazienti, inefficienza del sistema nella gestione delle rotture di stock e conseguente rischio sociosanitario per i pazienti nel ricercare altre fonti di approvvigionamento. La trattazione tuttavia, focalizzandosi principalmente su aspetti economici fornisce solo spunti per riflettere con pensiero critico sulle svariate possibilità di scelta nell’ideazione di un modello di mercato efficiente per quello della cannabis, che miri sia al miglioramento delle condizioni sociali ed economiche in termini di politiche di welfare e prevenzione, sia in termini di sfruttamento del potenziale gettito fiscale ricavabile dagli ammanchi contributivi attualmente assorbiti dal mercato sommerso, ma anche da quelli che potrebbero derivare dall’eventuale domanda aggregata soddisfabile. I limiti riscontrati nello svolgere la disamina sono molteplici; in primo luogo per l’unicum normativo che caratterizza la riservatezza di questo mercato in Italia; in secondo luogo per la difficoltà nell’ottenere garanzie sulla validità dei dati al consumo, considerando l’assorbimento indiscriminato delle tipologie di consumatori da parte del mercato illecito.  Partendo da questi presupposti, la finalità è stata comprovare e valutare sulla base dell’esperienza della California e del Colorado l’esistenza di esternalità positive e la possibilità da parte dello stato di poter modulare e contenere maggiormente i rischi attraverso le politiche preventive e regolamentative. Questo studio fornisce informazioni concrete sulle implicazioni economiche e sociali della politica di legalizzazione e regolamentazione dei prodotti a base di cannabis, consentendo di valutare l'efficacia e l'impatto di tali politiche di governance; con la speranza che si comprenda l’importanza di sviluppare un mercato che riesca a garantire la sussistenza della domanda interna, allargare i margini di mutabilità per i pazienti, ridurre la discriminazione nella distribuzione territoriale in base all’incidenza e rilevanza delle patologie, contribuendo allo stesso tempo alla crescita occupazionale e alla ricerca scientifica. In conclusione la trattazione non si pone come soluzione al problema ma cerca di studiarlo attraverso gli assunti dell’economia del benessere, mantenendo un approccio non polarizzato e un metodo data value.

Livi

La responsabilità civile da illecito trattamento dei dati personali

Dott. Alessio Livi

Dirigente d’azienda con oltre 25 anni di esperienza nel settore delle vendite in multinazionali tra le più importanti del settore ICT, tra cui Business Objects, IBM, Oracle, Hewlett Packard Enterprise; già Ufficiale dell’Esercito, richiamato in servizio attivo dal Ministero della Difesa nel 2011 come “ICT Advisor per la dematerializzazione documentale”, attualmente è Dirigente della Open Text Corporation, dove si occupa della fornitura di soluzioni ICT alla Pubblica Amministrazione. Laureato con lode in Scienze dell’Amministrazione e della Sicurezza presso l’Università degli Studi di Roma Unitelma Sapienza nel dicembre 2023, la sua tesi in Diritto Privato “La responsabilità civile da illecito trattamento dei dati personali” nasce dall’interesse di approfondire il complesso ed attuale tema del trattamento dei dati personali nell’era dell’ICT, si concentra sul concetto di danno e criterio d’imputazione e, anche attraverso un’analisi della giurisprudenza, evidenzia il collegamento tra il nuovo principio di accountability introdotto dal GDPR e la responsabilità civile.

La protezione dei dati personali nell'era digitale è diventata una delle sfide più pressanti per le organizzazioni di ogni settore. L’elaborato si propone di fornire una guida accessibile anche ai non addetti ai lavori o a professionisti non aggiornati, per affrontare questo complesso equilibrio tra progresso tecnologico e protezione dei dati personali. L’analisi si colloca all'intersezione di due sfide contemporanee cruciali: l'espansione esponenziale delle capacità tecnologiche e la crescente necessità di proteggere i dati personali nell'ambito di tali sviluppi. Dopo un richiamo alla storia e al passaggio evolutivo da “diritto alla privacy” a “protezione dei dati personali”, si procede con una disamina del principio innovativo di accountability come introdotto dal Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR) dell'Unione Europea. Questo principio rappresenta una pietra miliare nell'approccio alla protezione dei dati, imponendo ai titolari del trattamento non solo di rispettare la normativa ma anche di dimostrare attivamente di aver adottato tutte le misure necessarie per garantire una gestione sicura dei dati personali. Viene evidenziato come l'accountability non sia un mero adempimento burocratico, ma un obbligo continuo che richiede una gestione trasparente e responsabile dei dati personali in capo al titolare del trattamento. Un punto focale della tesi è l'analisi delle conseguenze derivanti da una gestione inadeguata dei dati personali. Viene esplorato il vasto spettro di danni potenziali, da quelli materiali a quelli immateriali, che possono emergere da violazioni della privacy. L'elaborato evidenzia come incidenti di sicurezza, quali la perdita o l'accesso non autorizzato a dati personali, possano avere ripercussioni significative sugli individui, includendo discriminazione, furto d'identità, perdite finanziarie, danni alla reputazione e molto altro. Questa sezione della tesi mette in luce la critica interconnessione tra diritti della personalità e la responsabilità organizzativa dei titolari del trattamento di ciascuna organizzazione nel contesto digitale moderno. Il lavoro approfondisce il tema delle sfide derivanti dalla digitalizzazione e globalizzazione dei servizi, mettendo in luce come queste tendenze abbiano amplificato i rischi per i diritti e le libertà fondamentali delle persone. Con l'espansione dell'economia digitale globale, assistiamo a una massiccia proliferazione di dati personali, che si estende ben oltre i moderni dispositivi come smartphone e smart TV. L'avvento di concetti innovativi come l'Internet of Things (IoT), gli OpenData, i Big Data e, più recentemente, l'Intelligenza Artificiale (IA), ha ulteriormente complicato il panorama della protezione dei dati personali. Queste tecnologie hanno aperto nuove frontiere di raccolta, elaborazione e utilizzo dei dati, aumentando esponenzialmente le potenzialità di monitoraggio e profilazione degli individui. In questo contesto, diventa imprescindibile adottare un approccio proattivo per garantire la protezione dei dati personali. La ricerca analizza come l'evoluzione tecnologica abbia reso necessario un rafforzamento delle normative e delle pratiche di compliance. Le organizzazioni sono chiamate a investire in misure di sicurezza avanzate e a promuovere una cultura interna incentrata sul rispetto della privacy, al fine di mitigare i rischi derivanti dalla crescente complessità del panorama digitale. L’elaborato esplora il ruolo fondamentale delle normative e delle politiche di regolamentazione nel promuovere la protezione dei dati personali e nel garantire che le organizzazioni si conformino agli standard etici e legali più elevati. Questo contesto richiede una costante attenzione e un impegno continuo da parte delle aziende e delle istituzioni per adattarsi ai rapidi cambiamenti tecnologici e alle nuove sfide emergenti nel campo della protezione dei dati personali. La parte centrale della tesi si concentra sulla creazione di una sorta di guida pratica per affrontare il delicato equilibrio tra progresso tecnologico e protezione dei dati personali. L'obiettivo è quello di offrire un quadro di governance dei dati che armonizzi le innovazioni tecnologiche con un forte impegno etico e legale nella tutela della privacy. Nel dettaglio, viene delineata una serie di linee guida che le organizzazioni possono adottare per gestire i dati in modo responsabile e sostenibile nel lungo periodo. Queste linee guida non si
limitano alla mera conformità legale, ma mirano a promuovere una cultura aziendale improntata al rispetto della privacy e all'etica nel trattamento dei dati personali. Per supportare questa proposta, vengono esaminati casi giurisprudenziali significativi e valutate le normative applicabili, al fine di fornire esempi concreti e contestualizzati su come le organizzazioni possano tradurre i principi teorici in pratiche operative. Questo approccio consente di comprendere non solo quali siano gli obblighi legali delle organizzazioni, ma anche come possano essere implementati in modo efficace e responsabile all'interno di contesti aziendali specifici. Inoltre, la ricerca si propone di fornire strumenti e risorse pratiche per aiutare le organizzazioni a sviluppare politiche e procedure interne che riflettano gli standard più elevati di protezione dei dati e rispettino i diritti fondamentali degli individui. In questo modo, si cerca di promuovere una gestione dei dati che non solo rispetti la legge, ma che vada oltre, contribuendo alla costruzione di una cultura aziendale basata sulla trasparenza, la responsabilità e il rispetto della privacy. La tesi ha l'ambizione di fornire un contributo al dibattito sulla privacy e sulla protezione dei dati nell'era digitale. Mette in evidenza il principio di accountability, le conseguenze di una gestione inadeguata dei dati, e le sfide portate dalla digitalizzazione e dalla globalizzazione. Il lavoro intende tracciare una roadmap per le organizzazioni che cercano di bilanciare innovazione tecnologica e responsabilità civile, evidenziando il rapporto indissolubile tra “responsabilizzazione” e “responsabilità”. La ricerca pone l'accento sulle complessità legali ed etiche in gioco e fornisce orientamenti pratici per navigare in un panorama in continua evoluzione, dove la protezione dei dati personali diventa sempre più centrale nella costruzione di una società digitale equa e sicura. Guardando al futuro, le sfide nella protezione dei dati personali si intensificano ulteriormente con l'avvento dell'Intelligenza Artificiale (IA). L'IA presenta una serie di nuove sfide etiche, legali e pratiche, poiché amplifica la raccolta, l'elaborazione e l'analisi dei dati personali su una scala senza precedenti. Ci troviamo di fronte alla necessità di garantire che l'IA rispetti i principi fondamentali della privacy e della protezione dei dati, evitando discriminazioni, abusi e violazioni dei diritti individuali. Le organizzazioni dovranno rafforzare le proprie infrastrutture e implementare misure di sicurezza avanzate per proteggere i dati personali dall'accesso non autorizzato e dall'abuso da parte di sistemi di intelligenza artificiale. Inoltre, sarà cruciale sviluppare normative e regolamenti adeguati per guidare l'uso responsabile ed etico dell'IA nel trattamento dei dati personali. Affrontare queste sfide richiederà un impegno collettivo da parte di governi, organizzazioni e società nel loro complesso, per garantire che l'IA sia utilizzata per migliorare la nostra vita senza compromettere i nostri diritti e le nostre libertà fondamentali. Questo richiederà un dialogo continuo tra gli attori coinvolti, nonché un monitoraggio costante dei progressi tecnologici e delle implicazioni etiche e legali che ne derivano. Solo attraverso un approccio collaborativo e una governance efficace sarà possibile affrontare con successo le sfide future legate all'IA e alla protezione dei dati personali.

Pischedda Fronte

La legittima difesa nella cyber warfare: profili giuridici internazionalistici

Dott. Alessandro Pischedda

In servizio presso la Marina Militare Italiana, specializzato in ambito procurement, con esperienza pluriennale in ambito internazionale e interforze.

Laureato con lode in Scienze dell’Amministrazione e della Sicurezza presso l’Università degli Studi di Roma “Unitelma Sapienza” con tesi in Diritto internazionale e cyber security, ha avuto peculiari esperienze lavorative che negli anni gli hanno consentito di entrare in possesso di formazione certificata in ambito giuridico, contrattualistico ed intelligence. A tal proposito l’esperienza professionale unita alla passione per le tematiche geopolitiche lo hanno portato ad approfondire nello specifico gli aspetti giuridici internazionalistici legati alla legittima difesa nel contesto cyber warfare ed in generale la possibilità di convivenza tra il diritto internazionale tradizionalmente inteso e le inedite fattispecie rappresentate da componenti cibernetiche e non state actors sempre più influenti nella risoluzione dei conflitti.

Il XXI secolo, sociologicamente identificato come l’età della “information society”, ha rappresentato uno scenario post industriale frutto di trasformazioni paradigmatiche con una inedita possibilità di scambio informativo a livello globale ed in tempo reale che ha comportato, in contropartita, la necessità di regolamentare i rapporti tra gli attori coinvolti, in particolar modo a livello internazionale. In principio infatti, non essendoci ancora riferimenti giuridici definiti in materia, vigeva una forma di coordinamento basato su prassi tecniche attivate di volta in volta in virtù delle esigenze comunicative del caso attivando consuetudini che, a seguito dell’improvvisa espansione della rete, entrarono però inevitabilmente in crisi. Oggi, nei teatri internazionali di crisi, operazioni offensive vengono quotidianamente perpetrate su palcoscenici asimmetrici dove risulta ormai difficile delineare le tradizionali distinzioni tra militare e civile, tra state e non-state actors, dove quindi, in generale, il comportamento di attaccanti e attaccati si è discostato da quanto tradizionalmente previsto da trattati e dottrina. Ecco, dunque, che la Comunità internazionale si trova sempre più spesso a valutare se siano ancora attuali ed estensibili le storiche previsioni dei trattati internazionali e cosa sia da considerare legittimo parlando di difesa e spazio cibernetico. Karl Von Clausewitz, generale prussiano, scriveva che “la difesa non esiste che contro l’attacco e ciò presupponendolo necessariamente”. Ecco, allora, che un’analisi sulla difesa nel cyber spazio impone il comprendere tre aspetti fondamentali: cosa sia effettivamente il dominio cibernetico, quale sia l’ attacco virtuale da prendere in considerazione per attivare una legittima difesa e, in caso, quali siano gli strumenti internazionalistici a disposizione per rispondere alla minaccia. Da tali quesiti discendono questioni non meno rilevanti e spesso ancora oggi irrisolte quali l’equiparazione di tali attacchi agli attacchi cinetici, la responsabilità internazionale, la proporzionalità nella legittima difesa e la possibilità di risposta cinetica a minacce che per loro natura non lo sono. Trovare una strada giuridica condivisa è sicuramente complesso. Non possiamo infatti non considerare che il diritto in ambito bellico vive sulla tradizionale dicotomia tra ius ad bellum e ius in bello e in questa rigidità terminologica la Comunità internazionale, in uno scenario mutevole quanto inedito, fatica ad implementare, se non addirittura semplicemente ad applicare, la “via del diritto”. Ci si è posti dunque l’arduo intento di analizzare la possibilità di convivenza tra diritto internazionale tradizionalmente inteso e spazio cibernetico nello specifico contesto della legittima difesa nella cyber warfare, in primis andando a ripercorrere i concetti cardine dei rapporti tra Stati ed introducendo il concetto di cyberspazio, successivamente andando a descrivere le strategie di sicurezza nazionale in Italia e nel mondo e le attività delle principali organizzazioni internazionali in materia ed infine
analizzando alcuni casi studio ritenuti esemplificativi circa le difficoltà di applicazione delle previsioni giuridiche cogenti. Particolare attenzione è stata posta infine nel trovare risposta ad alcune problematiche legate all’esercizio della legittima difesa nel contesto cibernetico quali l’individuazione di un possibile punto di equiparazione delle operazioni informatiche all’uso della forza, la responsabilità internazionale, la legittima difesa collettiva ed ulteriori aspetti non ancora universamente condivisi come il riconoscimento del principio di sovranità nel cyberspazio e la responsabilità oggettiva degli Stati. Da quanto analizzato è emersa una complessiva mancanza di normazione internazionalistica specifica dovuta soprattutto all’impossibilità di consolidamento di una qualsiasi forma di consuetudine o prassi ripetuta nel tempo. Si ritiene in questo senso che la continua evoluzione tecnica delle modalità di attacco non consenta tale processo trattandosi di un contesto, quello cibernetico, in cui paradossalmente la diuturnitas, uno dei fondamenti del diritto internazionale, risulta causa di prevedibilità e dunque di inefficacia dell’ attacco. Come detto, l’assenza di una prassi consolidata come anche di una giurisprudenza, ha comportato nel tempo reazioni differenti da parte dei paesi vittima, sia nella valutazione della natura dell’attacco sia nel tipo di controffensiva da attuare con una però costante mancanza di coinvolgimento della Comunità internazionale a favore di risposte frutto di valutazioni case by case. Apparentemente, una sconfitta del diritto internazionale. Questo continuo processo di osservazione di eventi inediti ha comportato l’assenza di un riferimento storico ed una forma di deterrenza non basata sulla possibile violazione di norme internazionali ma piuttosto sull’incertezza informativa circa le potenzialità tecniche avversarie. Si richiede con urgenza che il Diritto internazionale prenda la posizione che gli compete, quella di grande ordinatore del sistema o attraverso l’adattamento del diritto internazionale esistente o con nuovi trattatati vincolanti. Per quanto appreso dai rapporti prodotti in sede ONU dai Gruppi di Esperti Governativi (GGE) e dal primo Open- Ended Working Group (OEWG), sembrerebbe essere auspicata la via del trattato anche se lo stato dei fatti soffre ancora di valutazioni discrezionali con contromisure autonome o in forma cooperativa in caso di scarsa capacità informatica. Per assottigliare la differenza con l’ambito cinetico sarà necessario ridurre la marginalità e le tempistiche burocratiche delle Nazioni Unite dotandole di strumenti di intervento adeguati alle esigenze del momento. In considerazione della continua evoluzione tecnica la proposta normativa non potrà, inoltre, prescindere dal contributo dell’Industria e degli esperti di settore anche alla luce del coinvolgimento sempre maggiore di attori privati nelle crisi internazionali a forte connotazione informatica.